di Irene Alessandrini
Per il 15 marzo, giornata dedicata a sensibilizzare sul problema sempre più diffuso dei disturbi alimentari, ho raccolto pareri degli esperti e una testimonianza
Per la giornata del fiocchetto lilla che si tiene il 15 marzo (per sensibilizzare tutti sui disturbi alimentari), abbiamo intervistato giovani e medici per portare alla luce un problema ancora poco conosciuto.
La neuropsichiatra infantile Paola Pias afferma: «Avere un disturbo del comportamento alimentare non viene determinato solo da un numero sulla bilancia, il disturbo alimentare trascina l’individuo dentro ad una gabbia di convinzioni che lo portano ad avere un pensiero fisso sul cibo».
Una studentessa ci rivela: «Una volta che si finisce nel “giro” non è facile uscirne. Quello che fa più male sono i commenti che mi rivolgo ogni volta che sono davanti ad uno specchio, odio non riuscire a guardarmi senza detestarmi. Maggiore è il tempo che passo riflessa da qualche parte e maggiore è il numero di difetti che riesco a trovare».
Un altro ragazzo afferma: «All’inizio, quando non sapevo bene come si dovessero fare le cose, ho iniziato a cercare su internet e da quell’istante il web è diventato il mio migliore amico. Basta qualche parola chiave per finire su pagine di lassativi o metodi per svuotarsi velocemente».
Oggi troviamo molti contenuti multimediali che trattano il tema dei disturbi alimentari. Nei film e nelle serie tv di questo genere non viene solo spiegata nel dettaglio la malattia, bensì anche i rapporti umani che vengono compromessi in seguito a questo terribile disagio.
Gli studenti intervistati ci hanno spiegato uno degli aspetti più complicati nella fase di guarigione: «Aprirsi alla famiglia è una delle scelte più dolorose, riprendersi da un disturbo alimentare non è semplice, e dal momento in cui coinvolgi le persone a te vicine devi essere consapevole che soffriranno ogni volta che fallirai nel provarci. Inoltre, la famiglia potrebbe completamente sminuire il problema, proponendo una dieta equilibrata o consigliando semplicemente di fare più esercizio».
Lo psicologo Cosimo Santi risponde: «Coinvolgere le persone care è uno dei passi più difficili ed importanti della guarigione. Confidandosi con loro il paziente può rendersi conto della realtà in cui si trova e questo può dargli la spinta per tentare di uscire dal tunnel».
Dopo aver chiesto il parere riguardo al ruolo che giocano i social sull’argomento, i ragazzi si sono divisi principalmente in due parti. Molti si sono schierati contro i social dicendo: «Non è insolito imbattersi in post o frasi che recitano “sopra i 60 chili può essere solo un’amica”. Poi non è insolito essere tempestati di insulti perché il tuo corpo non rispecchia il canone di bellezza imposto dalla società».
La parte schierata a favore ha controbattuto: «La vita sui social è indiscutibilmente dura, non neghiamo che ci siano canoni improponibili, tuttavia sui social sono presenti molte pagine gestite da psicologi, nutrizionisti e persone un tempo affette da disturbi alimentari. Con questi profili, oltre a far conoscere la propria storia, è possibile convincere i giovani che dai disturbi alimentari si possa guarire. Spesso chiedere aiuto è difficile e per molti è più semplice parlare della propria esperienza con qualcuno che ne abbia avuta una a sua volta. Queste pagine ti aiutano fornendoti un grande sostegno psicologico e, attraverso delle chiamate conoscitive, indirizzano ad intraprendere un percorso psicologico per uscire dal tunnel».
In occasione di questa giornata abbiamo cercato di entrare nelle menti dei ragazzi maggiormente vicini a questo mondo e, attraverso le loro esperienze, raccontare un lato della vita nascosto sotto ai nostri occhi. Abbiamo ascoltato anche il pensiero degli specialisti che, ogni giorno, hanno a che fare con le vittime di questo invisibile veleno.
Leggi la testimonianza di Ginevra