Libri e scarpe rosse

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Alcuni consigli di libri per dare voce a tutte le donne vittime di violenza

Dal 1999, ogni 25 novembre, ricorre la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Istituita dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, è un momento per riflettere su quanto ancora si può fare per evitare il femminicidio, lo stupro, la violenza fisica e morale contro tutte le donne, dentro e fuori le mura domestiche.

Perché proprio il 25 novembre?

La data simbolica ricorda l’assassinio delle sorelle dominicane Mirabal durante il regime di Trujillo nel 1960. Le tre donne lottarono contro la dittatura e furono brutalmente uccise dai servizi segreti in un’imboscata. La loro scomparsa scatenò una dura reazione popolare. Inoltre, in loro memoria, il 25 novembre del 1981 si tenne il primo Incontro Internazionale Femminista delle donne latinoamericane e, da allora, la giornata è stata riconosciuta come data per ricordare e denunciare il maltrattamento fisico e psicologico su donne e bambine. In Italia la commemorazione è simboleggiata dal rosso delle scarpe che spesso vengono sparse nelle piazze italiane per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla scia dell’installazione Zapatos Rojos dell’artista messicana Elina Chauvet. Oggi, in Italia i femminicidi rappresentano il 42% delle persone uccise, uno ogni 72 ore. È un tasso che continua a crescere tragicamente e che ci fa capire quanto ancora sia necessario confrontarsi con questo grave problema sociale, sperando di poter cancellare le parole violenza e femminicidio dai dizionari delle lingue moderne, cosicché ogni donna, ragazza e bambina possa sentirsi finalmente libera.

Alcuni consigli per riflettere e sensibilizzare

“Donna si nasce” di Adriana Cavarero e Olivia Guaraldo

Simone de Beauvoir affermava che «donna non si nasce, lo si diventa», e che l’identità femminile è solo il prodotto di una costruzione sociale radicata nel patriarcato. 

Ma davvero il concetto di donna è esclusivamente un costrutto della cultura patriarcale? 

Davvero la liberazione femminile può avvenire soltanto attraverso la cancellazione della differenza sessuale? 

Spinte sempre più forti sembrano muovere in questa direzione. Il linguaggio inclusivo rivendica la fluidità e stigmatizza chi si riconosce nell’affermazione che i sessi sono due, maschile e femminile. Si sta diffondendo una neolingua in cui i generi si moltiplicano, mentre il dato della differenza tra i sessi viene considerato pericoloso e discriminatorio. Negli ambienti culturali progressisti, nelle università, nei festival e nell’editoria, al termine «donna» si arriva ormai a preferire «persona con utero», cancellando così il soggetto centrale del femminismo, che ha consentito la conquista di diritti e libertà.

Le filosofe Adriana Cavarero e Olivia Guaraldo rivendicano la differenza delle donne, in primis il fatto di essere il sesso che genera, e la necessità del femminismo di rappresentarla non come un ostacolo, causa di subordinazione e inferiorità, ma come una forza, elemento fondamentale per raggiungere una libertà autentica. La loro analisi affronta, con sguardo acuto e senza fare sconti, alcuni dei temi più caldi del nostro tempo, dall’uso dello schwa (ә) alle teorie sul gender, al dibattito sulla maternità surrogata e sulla libertà riproduttiva, fino alla drammatica realtà della violenza maschile sulle donne.

“Più ci rinchiudono, più diventiamo forti” di Narges Mohammadi

«Scrivo nelle mie ultime ore di licenza. Tra poco sarò costretta a tornare in prigione. Il 16 novembre 2021 sono stata arrestata per la dodicesima volta in vita mia e per la quarta condannata alla detenzione in isolamento. Sono stata giudicata colpevole per il libro che avete tra le mani. Finirò di nuovo dietro le sbarre. Ma non smetterò mai di lottare.» 

Con queste parole, Narges Mohammadi, instancabile attivista e premio Nobel per la Pace 2023, tuttora reclusa, ci consegna la sua toccante e potente testimonianza di resistenza. A emergere è una fotografia terrificante della vita nelle carceri iraniane – a partire dalla famigerata sezione 209 del carcere di Evin, a Teheran -, dove i prigionieri politici e gli attivisti vengono sottoposti a condizioni estreme, isolamento totale e «tortura bianca», una disumana forma di detenzione usata in maniera pervasiva in Iran che sottrae alla persona ogni stimolo sensoriale per lunghi periodi. La «tortura bianca», in particolare, è uno dei più palesi e diffusi esempi di tortura contro cui Narges Mohammadi si è sempre battuta, prima ancora di essere imprigionata. E ha continuato a farlo dalla sua cella.

In queste pagine, oltre alla sua storia, Mohammadi raccoglie le interviste a dodici donne detenute come lei, tra cui la giornalista di fama internazionale Nazanin Zaghari-Ratcliffe e l’attivista Atena Daemi. Donne che hanno sollevato la testa di fronte al regime islamico, che si sono battute per la libertà e la democrazia, o che sono state incarcerate con accuse infondate.

Più ci rinchiudono, più diventiamo forti è un coraggioso atto di denuncia verso la dittatura iraniana e le sue barbare violazioni dei diritti umani, e al tempo stesso un appello agli attivisti di tutto il mondo a non rinunciare alla lotta.

“Una stanza tutta per sé” di Virginia Woolf

Una «stanza tutta per sé» racchiude al proprio interno ciò di cui si ha bisogno per scrivere: tempo libero e indipendenza economica – benefici di cui le donne per secoli non hanno goduto, e cui ancora oggi spesso non possono accedere. Questo testo raffinatissimo e ironico, basato su due conferenze tenute da Virginia Woolf all’università di Cambridge nel 1928, ripercorre la storia delle donne nella letteratura: Christina Rossetti, Jane Austen, Emily Brontë, George Eliot rivivono nelle sue pagine, e la loro vicenda s’intreccia con ricordi, immagini e suggestioni di straordinaria forza evocativa. Vero e proprio manifesto della condizione femminile, Una stanza tutta per sé è un’esortazione, rivolta a tutte le donne, a lottare per la propria libertà, a seguire la propria vocazione, a diventare, finalmente, ciò che nel loro intimo già sono.

“Stai zitta” di Michela Murgia

“Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva.”

Se si è donna, in Italia si muore anche di linguaggio. È una morte civile, ma non per questo fa meno male. È con le parole che ci fanno sparire dai luoghi pubblici, dalle professioni, dai dibattiti e dalle notizie, ma di parole ingiuste si muore anche nella vita quotidiana, dove il pregiudizio che passa per il linguaggio uccide la nostra possibilità di essere pienamente noi stesse. 

Per ogni dislivello di diritti che le donne subiscono a causa del maschilismo esiste un impianto verbale che lo sostiene e lo giustifica. Accade ogni volta che rifiutano di chiamarvi avvocata, sindaca o architetta perché altrimenti «dovremmo dire anche farmacisto». Succede quando fate un bel lavoro, ma vi chiedono prima se siete mamma. Quando siete le uniche di cui non si pronuncia mai il cognome, se non con un articolo determinativo davanti. Quando si mettono a spiegarvi qualcosa che sapete già perfettamente, quando vi dicono di calmarvi, di farvi una risata, di smetterla di spaventare gli uomini con le vostre opinioni, di sorridere piuttosto, e soprattutto di star zitta.

“Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi 

Nei due decenni successivi alla rivoluzione di Khomeini, mentre le strade e i campus di Teheran erano teatro di violenze tremende, Azar Nafisi ha dovuto cimentarsi in un’impresa fra le più ardue, cioè spiegare a ragazzi e ragazze esposti in misura crescente alla catechesi islamica una delle più temibili incarnazioni dell’Occidente: la sua letteratura. Il risultato è uno dei più toccanti atti d’amore per la letteratura mai professati – e insieme una magnifica beffa giocata a chiunque tenti di interdirla.

Quando uno dei suoi studenti più islamizzati le contesta il diritto di tenere un corso sul Grande Gatsby – equiparato al Grande Satana –, Azar Nafisi decide di allestire un processo davanti all’intera classe, e di assumere in prima persona il patrocinio del romanzo. Una tecnica certo poco ortodossa, che tuttavia non stupirà più di tanto il lettore di questo sconvolgente racconto autobiografico.

L'autrice / autore

Non ho talenti speciali, sono solo “appassionatamente curiosa”, direbbe Einstein se fosse al mio posto.
Tra le colline della maremma grossetana, ho sempre trovato un rifugio nei libri. Le emozioni degli autori attraversano le loro penne, mi sento più vicina a loro ed è così che ho imparato a conoscere veramente il mondo.