Viaggio fra gli autori che si sono cimentati con il dubbio più antico dell’Umanità: si nasce buoni o si diventa sconfiggendo gli istinti peggiori?
Ne “Il visconte dimezzato’’, Italo Calvino ci presenta come protagonista Medardo, un personaggio diviso a metà sia fisicamente che moralmente. Colpito da una palla di cannone in guerra, una metà del visconte riesce a tornare nel suo regno, a Terralba. Medardo è però malvagio e crudele, un vandalo che uccide persone e animali innocenti senza motivo, tagliando a metà qualsiasi cosa gli si pari davanti: è il Gramo, il male fatto a persona.
Ad un certo punto del racconto arriva il colpo di scena che dà il via al dualismo del personaggio: il ritorno del Buono, l’altra metà di Medardo data per distrutta o comunque dispersa in Boemia, ristabilisce un equilibrio morale che risulterà però contraddittorio. Il Buono è di animo gentile, caritatevole e amorevole con i cittadini, tanto da rinunciare anche al matrimonio con la sua amata Pamela per non fare un torto al Gramo.
Tutta questa bontà non viene però sempre ricambiata e talvolta causa danni involontari e seccature, poichè banalmente il bene di uno può essere il male di un altro. Dopo tanto tempo di separazione, le due metà di Medardo vengono ricucite e il risultato è inedito: il “nuovo’’ visconte è diverso da entrambe le metà, essendo ora saggio e felice grazie alle esperienze acquisite dal Bene e Male puri.
Calvino ci spiega che, logicamente, nel Male assoluto non c’è niente di positivo, ma che anche il Bene puro ha i suoi difetti e, dunque, l’uomo attratto solamente e completamente da una delle due parti è confuso e incompleto. L’essere umano è fatto di ‘“grigio’’, cioè di una miscela tra opposti che si completano l’un l’altro, come gentilezza e cattiveria, onestà e furbizia. L’autore presenta nel libro i concetti di Bene e Male come assoluti, distinguibili nettamente: ma questi esistono realmente o sono solo frutto di speculazioni filosofico-religiose?
Grazie alle neuroscienze e a diversi studi, sappiamo che il bene e i principi morali fondamentali sono pre-programmati nel nostro cervello sin dalla nascita. Prendiamo un esempio: i bambini sanno che non è lecito indossare il pigiama a scuola quanto non lo è picchiare un altro bambino. Se il maestro imponesse di fare entrambe le cose, la maggior parte degli alunni indosserebbe il pigiama ma non picchierebbe nessuno, essendo un atto violento e sbagliato dal principio. Per quanto semplice possa sembrare, la strada del Bene è assai faticosa. È una via tutta in salita che richiede sacrificio, impegno, disciplina, autocontrollo e moralità, ma al raggiungimento della cima troviamo la pace e la serenità, eternamente gratificanti.
Al contrario, la strada del Male è una comoda discesa. Soddisfa le nostre passioni più terrene e coccola i nostri istinti e vizi, facendoci sprofondare sempre di più nel vortice buio in noi stessi. Per alcuni, in realtà, il Male assoluto non esiste proprio. Partendo dalla definizione di “male’’ come le azioni che vanno contro la morale, è possibile dire che se cambia la morale (a livello storico-culturale), allora cambia anche il male stesso. Ad esempio, lo schiavismo era considerato una normalità per la grande maggioranza delle persone e non veniva posto il problema etico. Ma è proprio grazie a questo progresso della morale che oggi possiamo parlare e condannare atti universalmente amorali e malvagi, come appunto lo schiavismo, uno dei punti più bassi raggiunti nella storia dell’umanità.
La morale è dunque universale e risponde a quell’imperativo categorico kantiano che rende generica la legge, e, in quanto incondizionata, vale per tutte le persone e per tutte le circostanze.
Il concetto di male assoluto è ben spiegato da Hannh Arendt nel libro “La banalità del male’’. Riferendosi agli orrori dei campi di concentramento nazisti, la scrittrice definisce questo tipo di male come qualcosa di imperdonabile, irrimediabile e impunibile, poichè non va a danneggiare il singolo individuo o un gruppo di persone, ma l’intero ordine mondiale in quanto tale. Non è un caso che nel processo di Norimberga i gerarchi nazisti siano stati accusati di crimini contro l’umanità.
Per la Arendt, il male che lei definisce “banale’’ è la conseguenza di azioni di persone senza pensiero né giudizio, che non riescono a dialogare con se stessi o a mettersi nei panni del prossimo. Proprio per questa indifferenza, superficialità ed inconsapevolezza sono capaci di arrivare ad un male infinito e universale, punto di non ritorno.
Analizzate la tesi (il Bene) e l’antitesi (il Male), si arriva, infine, alla sintesi che, come scriveva Fichte, non è la mera e sterile riaffermazione della tesi, ma un risultato completo e arricchito da entrambi gli opposti, un po’ come il rinnovato Medardo. È dunque necessario che esista la scelta tra bene e male, ed è anche il caso che qualcuno scelga il male perchè privarlo di questa possibilità significherebbe ridurre l’individuo a qualcosa di inferiore all’Uomo. Questo è quello che Anthony Burgess e, secondo me in maniera ancora più efficace, Stanley Kubrick, intendono per libero arbitrio in “Arancia Meccanica’’. Alex DeLarge, il protagonista del libro e della pellicola, sceglie liberamente il male per poi essere trascinato forzatamente sulla strada opposta e reso inumano dalla prepotenza dello Stato paternalistico come è quello della distopia ambientata in una Londra contorta e pericolosa.
È ovviamente preferibile che davanti ad una libera scelta venga preferito il bene, ma cosa si è disposti a sacrificare pur di vivere in un mondo funzionale, sicuro e “pulito’’? Gli istinti naturali possono essere controllati con l’educazione e con la mano dello Stato o saranno sempre radicati dentro di noi, pronti a riemergere innescando un circolo vizioso?
Edoardo Vianello
L'autrice / autore
Vivo intrappolato in un circolo vizioso fatto di libri, fumetti e cinema. Cerco ispirazioni nella storia della politica e nella politica dentro la Storia. Per i problemi più grandi di me, mi affido alla Filosofia.
Livorno