Il “Barone rampante” sembra una storia per ragazzi ma è molto di più. Cosa ci dice e ci racconta Italo Calvino
A primo impatto il libro di Italo Calvino, “Il barone rampante”, sembra una semplice storia per ragazzi: un baronetto che per ribellarsi all’autorità paterna si arrampica su un albero e decide di trascorre tra i rami tutta la sua vita, senza scendere mai più.
“Cosimo era sull’elce. I rami si sbracciavano, alti ponti sopra la terra. Tirava un lieve vento; c’era sole.
Il sole era tra le foglie, e noi per vedere Cosimo dovevamo farci schermo con la mano. Cosimo guardava il
mondo dall’albero: ogni cosa, vista di lassù, era diversa, e questo era già un divertimento. Il viale aveva
tutt’un’altra prospettiva”
Così Cosimo, il nostro protagonista, supera i propri limiti e inizia ad osservare gli uomini e il mondo da un altro punto di vista, distaccato rispetto a quello precedente, opponendosi ai pregiudizi e alle chiusure mentali. È il tipico comportamento che, secondo Calvino, dovrebbe avere il filosofo, o più in generale l’intellettuale: “chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria”.
Si pensi a quante volte, nella vita quotidiana, non riusciamo a guardare gli eventi per quello che sono, ma passioni quali la rabbia, il dolore ci mostrano una realtà distorta, per la quale il nostro punto di vista è totalizzante. Calvino, in un certo senso, ci invita con il suo barone rampante a stare “un passo più indietro”, ad uscire dal quadro, così da poter osservare le cose nel suo insieme, non da un’angolatura particolare.
C’è un altro importante insegnamento, tuttavia, che si può trarre dal romanzo del nostro scrittore: la necessità di sapersi adattare alle difficoltà e seguire i propri propositi. Calvino racconta la storia di un bambino che prende una decisione, e per tutta la vita, con coerenza, la porta avanti, senza venirne mai meno. Una coerenza che a tratti si tramuta in ottusità, certo, ma che costituisce un attributo fondamentale per l’intellettuale moderno che Calvino ha in mente. Non è un caso quindi che l’autore premi la determinazione di Cosimo, inventando uno stratagemma che permetta al protagonista di rimanere fedele alla sua promessa fino alla fine. Neanche la morte sarebbe riuscita a fargli rompere la promessa fatta…Tutto ha una soluzione, sembra dire Calvino, anche la matassa che ci appare impossibile sciogliere, o il problema che non sappiamo da dove prendere.
Ma se leggessimo attraverso le righe potremmo vedere come in realtà l’intero racconto rispecchi il rapporto fra uno scrittore e la scrittura stessa.
All’inizio, nella decisione di Cosimo, si può vedere il distacco dagli antenati e l’inizio della ribellione. Lo scrittore si separa dagli schemi dettati dalla tradizione, ormai stanco di seguirli.
“Quel bisogno d’entrare in un elemento difficilmente possedibile che aveva spinto mio fratello a far sue le vie degli alberi, ora gli lavorava ancora dentro, mal soddisfatto, e gli comunicava la smania d’una penetrazione più minuta, d’un rapporto che lo legasse a ogni foglia e scaglia e piuma e frullo.”
L’autore si avvicina alla scrittura nonostante le difficoltà. Il suo legame con essa si fa sempre più stretto, fino a che il mondo non appare diverso ai suoi occhi: la natura si trasforma sotto il suo sguardo e quel capolavoro diventa un insieme di onomatopee, metafore, ossimori e altre figure retoriche. Le parole per lo scrittore sono come i pennelli per un pittore.
“Era il mondo ormai a essergli diverso, fatto di stretti e ricurvi ponti nel vuoto, di nodi o scaglie o rughe che irruvidiscono le scorze, di luci che variano il loro verde a seconda del velario di foglie più fitte o più rade, tremanti al primo scuotersi d’aria sui peduncoli o mosse come vele insieme all’incurvarsi dell’albero. Mentre il nostro, di mondo, s’appiattiva là in fondo, e noi avevamo figure sproporzionate e certo nulla capivamo di quel che lui lassù sapeva, lui che passava le notti ad ascoltare come il legno stipa delle sue cellule i giri che segnano gli anni nell’interno dei tronchi, e le muffe allargano la chiazza al vento tramontano, e in un brivido gli uccelli addormentati dentro il nido ricantucciano il capo là dove più morbida è la piuma dell’ala, e si sveglia il bruco, e si schiude l’uovo dell’averla.”
Una volta scoperta la sua vocazione, l’amore per la scrittura e la lettura accrescono in modo esponenziale, tanto che non riuscirà più a farne a meno.
“E a furia di maneggiar volumi, di giudicarli e compararli, di doverne conoscere sempre di più e di nuovi, tra letture per Gian dei Brughi e il crescente bisogno di letture sue, a Cosimo venne una tale passione per le lettere e per tutto lo scibile umano che non gli bastavano le ore dall’alba al tramonto per quel che avrebbe voluto leggere, e continuava anche a buio a lume di lanterna. A frequentare il brigante, dunque, Cosimo aveva preso una smisurata passione per la lettura e per lo studio, che gli restò poi per la vita.”
Cresce in lui la voglia di raccontare delle storie, di far sapere al mondo le sue vicende e i suoi pensieri. Si “arrampica” sulle parole, le afferra e sceglie le più sofisticate e le più adatte per esprimersi.
“Dall’invenzione di sana pianta, io credo, Cosimo era giunto, per successive approssimazioni, a una relazione quasi del tutto veritiera dei fatti. Gli riuscì così per due o tre volte; poi, non essendo gli Ombrosotti mai stanchi d’ascoltare il racconto e sempre aggiungendosi nuovi uditori e tutti richiedendo nuovi particolari, fu portato a fare Raggiunte, ampliamenti, iperboli, a introdurre nuovi personaggi ed episodi, e così la storia s’andò deformando e diventò più inventata che in principio. Ormai Cosimo aveva un pubblico che stava a sentire a bocca aperta tutto quel che lui diceva. […] Insomma, gli era presa quella smania di chi racconta storie e non sa mai se sono più belle quelle che gli sono veramente accadute e che a rievocarle riportano con sé tutto un mare d’ore passate, di sentimenti minuti, tedii, felicità, incertezze, vanaglorie, nausee di sé, oppure quelle che ci s’inventa, in cui si taglia giù di grosso, e tutto appare facile, ma poi più si svaria più ci s’accorge che si torna a parlare delle cose che s’è avuto o capito in realtà vivendo.”
Alla fine, tutto ci appare più chiaro. Il luogo e le vicende che finora ci hanno tenuto compagnia svaniscono. Nulla è più nitido. Tutto ci appare come un insieme di parole, punti, cancellature, macchie, sgorbi e pagine e pagine. Tutti i nostri sogni non erano altro che segni d’inchiostro: anche se tutto ciò porta con sé un po’ di nostalgia, abbiamo la certezza che la forza e la passione di quelle parole rimarranno per sempre lì.
“Ombrosa non c’è più. Guardando il cielo sgombro, mi domando se davvero è esistita. Quel frastaglio di rami e foglie, biforcazioni, lobi, spiumii, minuto e senza fine, e il cielo solo a sprazzi irregolari e ritagli, forse c’era solo perché ci passasse mio fratello col suo leggero passo di codibugnolo, era un ricamo fatto sul nulla che assomiglia a questo filo d’inchiostro, come l’ho lasciato correre per pagine e pagine, zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi nervosi, di macchie, di lacune, che a momenti si sgrana in grossi acini chiari, a momenti si infittisce in segni minuscoli come semi puntiformi, ora si ritorce su se stesso, ora si biforca, ora collega grumi di frasi con contorni di foglie o di nuvole, e poi s’intoppa, e poi ripiglia a attoreigliarsi, e corre e corre e si sdipana e avvolge un ultimo grappolo insensato di parole idee sogni ed è finito.”
L'autrice / autore
Non ho talenti speciali, sono solo “appassionatamente curiosa”, direbbe Einstein se fosse al mio posto.
Tra le colline della maremma grossetana, ho sempre trovato un rifugio nei libri. Le emozioni degli autori attraversano le loro penne, mi sento più vicina a loro ed è così che ho imparato a conoscere veramente il mondo.