Perché così tanti ragazzi ogni anno lasciano gli studi? Lo abbiamo chiesto a uno psicologo e a una dirigente scolastica
di Giacomo Petragnani (Massa Carrara)
Con dispersione scolastica si intende l’interruzione del percorso di studi dei ragazzi, sia nel corso della scuola superiore che subito dopo il diploma, in quanto il sistema di istruzione in Italia, pur non prevedendo alcun obbligo, è inteso per far continuare a studiare i ragazzi fino al raggiungimento di una laurea o di un titolo di studio equipollente.
Da quando andare a scuola è diventato obbligatorio per legge per tutti i ragazzi minori di 16 anni, fissando quindi l’obbligo formativo scolastico a un minimo di 10 anni di studio, sempre più ragazzi hanno smesso volontariamente di proseguire con gli studi non appena o poco dopo che il vincolo s’interrompe, o, in gergo tecnico, l’obbligo d’istruzione si assolve.
Cerchiamo di capire se le cause di questo fenomeno sono intrinseche nel sistema scolastico italiano per come è strutturato o se la colpa va cercata nelle persone, sia studenti che professori. In una scuola che inneggia alla meritocrazia, ci domandiamo se le istituzioni creano effettivamente le condizione uguali alla partenza di tutti gli studenti.
Siamo sicuri che non si possa talora parlare di carenza di risorse? Certamente, la scuola organizza e offre corsi per recuperare le debolezze cognitive, ma spesso sono insufficienti e chi inizia un anno con diverse lacune talvolta finisce per non recuperarne abbastanza da superare gli esami finali. Sempre più spesso c’è chi si rivolge alle scuole private o a insegnanti privati, ma per chi non ha le risorse economiche richieste, questo può costituire una differenza di opportunità. E’ così che il sistema scolastico pubblico viene depauperato con inevitabili ricadute sul percorso scolastico degli studenti.
E se fosse un problema generazionale?
Gli studenti delle ultime generazioni non hanno fiducia nella scuola e non credono nel potenziale che ha per avviarli al lavoro e alla vita. Dubitano che grazie alla scuola troveranno il loro posto nel mondo del lavoro e che tanti anni di studio potranno essere riscattati in qualche modo nell’opportunità di fare carriera.
Il target degli abbandoni è equamente distribuito?
Spesso l’abbandono ricade sugli studenti stranieri. Per loro il percorso scolastico è molto più difficile, sia per motivi linguistici, ma anche culturali, legati alla famiglia di origine.
E quanto è importante l’orientamento? Saper scegliere la giusta scuola vuol dire conoscersi: quanti ragazzi sono in grado di procedere in questa direzione autonomamente e quanto la scuola offre servizi di orientamento?
Forse l’analisi delle competenze è un lavoro poco promosso all’interno della scuola, e ai ragazzi talvolta manca la motivazione, che non può ridursi all’immediato successo: è difficile fare passare l’idea di “fatica” e di percorso con obiettivi a lungo termine.
L’INTERVISTA ALLO PSICOLOGO DEGLI ADOLESCENTI
Qui di seguito l’intervista allo psicologo e psicoterapeuta Paolo Giorcelli, da molti anni a contatto con gli adolescenti all’interno delle scuole e con esperienza nell’orientamento scolastico.
“L’adolescente – premette il dottor Giorcelli – è un ragazzo che ha bisogno di staccarsi dall’ideale di figlio dei genitori, e in questo distacco ci sono le trasgressioni e la banalizzazione delle regole degli adulti. La scuola rappresenta un aspetto importante: è un elemento di successo della propria immagine sociale per il figlio, ma è anche elemento dell’ideale di figlio per i genitori. Nel momento in cui il figlio vuole attaccare i genitori la scuola ci va di mezzo. Non c’è da stupirsi quindi se l’adolescente attiva delle dinamiche di contrasto nei confronti della scuola. Poi però c’è la proposta della scuola stessa che non è trascurabile come lavoro per il ragazzo, e in questo momento è bene che i genitori non interferiscano più di tanto: il professore deve diventare una nuova figura di riferimento complementare, che generi motivazione.”
Cosa ne pensa della scuola di oggi? Funziona bene?
“Io ho fiducia nella nostra scuola, sì è un po’ caotica, ma è la libertà che la rende caotica, è sempre inclusiva. Si nota nettamente il passaggio tra la prima e la seconda adolescenza: nei primi due anni di superiori i ragazzi sono o un po’ impauriti nei licei o un po’ caotici nei professionali, poi dal terzo e nel quarto anno si innesta quell’alleanza tra professori e ragazzi che nel quinto anno si consolida. Oggi si tende a fare del catastrofismo sulla scuola italiana, ma è sempre così quando si lavora con i ragazzi, non è mai facile.”
Per quello che riguarda l’università, la dispersione ha motivazioni differenti?
“Teniamo presente che l’adolescenza e la disregolazione emotiva si protraggono fino a 22-24 anni; il nostro sistema universitario è molto valutativo, c’è questo aspetto molto forte negli esami. Stare a lungo dentro questo meccanismo porta anche alla fatica, abituarsi alla fatica diventa poi un metodo di studio, ma dipende tanto dal ragazzo e quanto è abituato, è tutto riconducibile al singolo studente più che al sistema in sé per sé. Poi all’università si lavora step-by-step, se l’esame ti va male lo ridai, non come alle superiori, dove il ragazzo può anche essere bocciato e deve ripetere un anno intero.”
Arrivato il momento di prendere una scelta al termine delle superiori, quando si decide di mollare?
“L’ultimo scalino delle superiori è il diploma, e la maturità è una grande competizione, un confronto con gli altri, con se stessi e anche con le aspettative genitoriali. Se si arriva alla maturità troppo carichi di aspettativa, proprie e altrui, si rischia ill crollo, sia durante l’ultimo anno che durante gli esami o subito dopo, sfiniti dalle prove. Per cui è bene alleggerirsi e comunque sia accettare il voto, che non è certamente la valutazione di una persona. Ѐ questo meccanismo di competizione che impedisce ai ragazzi di essere sereni nel fare le proprie scelte.”
Si può eliminare questo eccesso di competitività?
“La cosa fondamentale è il gruppo classe. Se un gruppo classe arriva a quel senso critico, a quella capacità di permettere a ognuno di avere una propria idea e di manifestarla sia in comune che da solo, sia tra ragazzi che con i professori, e se ogni ragazzo riesce a guardarsi dentro e a elaborare la proprie emozioni, allora si può arrivare alla fine con un orizzonte ampio e sereno. Bisogna eliminare tutti i comportamenti stupidi; se uno è in quinta non può fare gossip o ridacchiare perché gli va. Se stai bene nel tuo gruppo classe è sicuramente più facile per te affrontare la scuola.”
Secondo lei, i servizi PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversversali e l’Orientamento) sono funzionali? Quella che chiamiamo “alternanza scuola-lavoro” è utile per i ragazzi nelle loro prospettive future?
“Penso sia una buona idea, bisogna sperimentare tutto, poi è chiaro che un ragazzo che si trova in un ambiente lavorativo vede che ci sono delle caratteristiche del lavoro che possono stimolare o interessare come no. Non bisogna vederlo in termini assoluti come qualcosa di risolutivo, e soprattutto non bisogna pensare che i ragazzi vadano istruiti solo per avviarli al lavoro; bisogna formare i ragazzi come persone, in grado di dare una misura alle cose nelle loro complessità.
In ultima istanza, se un ragazzo arriva al termine degli studi o viceversa molla la scuola, si sente gratificato?
“La soddisfazione e la gioia sono sentimenti molto belli, ma delicati, non devono trasformarsi in uno sballo eccitatorio. Ѐ giusto festeggiare il giorno della laurea o del diploma, perchè il raggiungimento di un obiettivo è sempre motivo di festa. Dal giorno dopo però si torna a vivere senza lasciarsi prendere dallo slancio emotivo altrimenti si ottiene l’opposto, cioè il freddo angoscioso e ansiogeno. Bisogna cercare di organizzare la vita godendosi la giornata, non il progetto. Ѐ importante mantenere l’autostima in sé non solo con il titolo di studio ma anche con le piccole cose della giornata. Viceversa se uno ha mollato gli studi o ha cambiato scuola non deve sentirsi un fallito. Tutto quello che è successo non va visto in riferimento al risultato finale ma all’esperienza di vita affrontata, sia dal punto di vista formativo che culturale. Nella vita tutto torna, anche se all’inizio non è chiaro; chi si muove in linea retta parte da un punto e arriva a un altro velocemente, ma vedendo meno cose di chi va a zig-zag, che arriva dopo, però fa più esperienze. Diamo sempre un’interpretazione positiva alle cose che sono successe.”
L’INTERVISTA ALLA DIRIGENTE SCOLASTICA
Delle domande simili sono state chieste invece a chi vive la scuola come dirigente scolastico, ecco quindi cosa ci ha risposto la professoressa Stefania Figaia, dirigente scolastica del liceo scientifico “E. Fermi” di Massa e dello scientifico “G. Marconi” di Carrara.
Se un ragazzo prende la decisione di smettere di studiare, secondo lei, la scuola gli viene incontro adeguatamente?
“La scuola è un ente abbastanza astratto, è fatto di persone, noi siamo persone. Ognuno affronta diversamente le situazioni, io personalmente, quando capita, posso cercare di contrastare un evento negativo, perché la dispersione scolastica è sicuramente un evento negativo, ma cambia tanto da persona a persona. Il dirigente scolastico non è in contatto diretto con i ragazzi, quindi nei singoli casi non conosce le dinamiche quanto i professori. Loro invece possono sempre aiutare i ragazzi perché conoscendoli possono capirli e indirizzarli verso le scelte giuste; prof e ragazzi si conoscono bene, quindi il dialogo è fondamentale per superare i problemi.
Poi c’è lo sportello dello psicologo che ci ha sempre fornito la ASL ed è disponibile per i ragazzi non solo per contrastare la dispersione, ma per molte altre cose. Comunque sia da dirigente che da professoressa, ho visto che i casi sono sempre particolari e variano da ragazzo a ragazzo. ”
I servizi offerti dalla scuola per il recupero dei debiti sono sufficienti o i ragazzi hanno bisogno di ricorrere a professori privati?
“Io lo so bene che i ragazzi spesso vanno dai ripetitori esterni pagandosi le lezioni, questo lo so e lo devo considerare un fallimento di quello che è un tentativo mio personale di portare i docenti a considerare al centro della loro azione didattica i ragazzi, e non lo svolgimento del programma. Spesso i professori sono legati all’idea di portare a termine il programma e di conseguenza abbandonano anche i ragazzi, che sono da soli alle prese con l’acquisizione delle competenze che sono fondamentali proprio per lo svolgimento del programma stesso.”
Secondo lei il PCTO è funzionale all’orientamento e a non lasciare i ragazzi in balia dell’indecisione dopo il diploma?
“Ho sempre dato fiducia al progetto PCTO, io che ho sempre lavorato nei licei la considero come un’esperienza positiva quella di portare i ragazzi fuori dall’edificio scuola e aprire quello che altrimenti rischia di essere un approccio soltanto teorico alle realtà del lavoro. Molti progetti sono veramente approfonditi e importanti; nelle mie scuole, per esempio, è attivo il progetto biomedico che mette davvero in contatto i ragazzi con il mondo della medicina e dà un’ottima preparazione per i test universitari. Orientamento significa dare una visione di ciò che interessa ma anche di ciò che non interessa e quindi può essere un grande aiuto per portare a una scelta universitaria.”
Le scelte che possono migliorare la scuola dipendono solo dal ministero o ogni dirigente scolastico nel suo piccolo può elevare i suoi istituti?
“Il dirigente scolastico può fare la differenza, soprattutto se lavora in stretta collaborazione con i docenti; sono convinta che un buon team possa cambiare tanto. Fortunatamente io lavoro in una realtà dove l’abbandono scolastico non è un problema, perché le percentuali sono buone, e i pochi casi di rinuncia erano situazioni molto particolari, direi difficili, non generalizzabili. Non credo tanto nel potere dei soldi o esclusivamente dei soldi, anche perchè il budget può arrivare dal ministero come da tanti altri enti, piuttosto credo nella forza delle relazioni, nell’importanza dell’empatia, nel dibattito, nell’azione. Ogni dirigente può rendere la scuola migliore, basta non focalizzarsi sempre sugli stessi problemi ma affrontarli cercando di capire le dinamiche.”
E i professori cosa possono fare per aiutare un gruppo classe che non funziona?
“Sul gruppo classe, come su tutti i tipi di gruppi, penso si possa e si debba lavorare attraverso la proposta di attività che vadano al di là dello specifico ambiente scolastico: si può andare a teatro, al cinema, si può banalmente organizzare una cena di classe, che può sempre favorire il benessere all’interno di un gruppo nel quale non sono presenti solo i minori ma pure gli adulti con tutto il loro portato di esperienza e volontà di cambiamento.
Concludendo penso che la scuola debba sempre cercare, caso per caso, di essere attrattiva e attraente per portare avanti quel mandato, che è anche un mandato costituzionale, di mantenersi aperta a tutto e a tutti, e per essere così aperta dobbiamo essere capaci di accogliere i bisogni e le necessità di ognuno.”
Editing a cura di Fabio Cutrupi