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Dalla morte di Indy Gregori alle divergenti opinioni sul fine vita

Bambina inglese di otto anni malata terminale. 

Impedito l’espatrio dopo l’ottenimento della cittadinanza italiana.

La Corte si esprime. 

E’ morte.

Viene staccata la spina.

Le infermiere trattengono il fiato.

Le urla dei genitori.

Un momento.

Il Mondo diviso in due, allo stesso modo in cui la Terra è divisa dall’Equatore in Nord e Sud: due stremi opposti e inconciliabili.

La parola Eutanasia

La parola eutanasia deriva dal greco e indica una “buona morte”, degna e gloriosa, in contrapposizione con una fine lenta e logorata da un male duraturo. Il dibattito in materia si è acceso in seguito al caso di Indy Gregory, bambina di otto mesi a cui è stato impedito l’espatrio dopo l’ottenimento della cittadinanza italiana. Dopo la morte della piccola il mondo si è diviso, allo stesso modo in cui l’equatore divide la Terra in Nord e Sud: due estremi opposti e inconciliabili.

Cosa pensi del caso di Indy Gregory?

Sono dalla parte dei medici, se esistono parti. Indy Gregory era nata malata, i medici avevano avvertito i genitori che forse non sarebbe sopravvissuta al parto, né lei né la mamma, che sarebbe potuta morire in qualsiasi momento. E’ stata intubata subito e soffriva; non ha mai vissuto, nemmeno i suoi genitori hanno mai veramente passato del tempo con lei. Inoltre occupava un letto, occupando il posto di un altro bambino che, magari, avendo una malattia meno rara, avrebbe avuto più possibilità di essere curato e di sopravvivere.

I  medici, avendo studiato di più, sapevano cosa fosse meglio per Indy. Poi, dato che la bambina era minorenne, è spettato alla Corte decidere, ed ha scelto ciò che era meno doloroso per la piccola, destinata in ogni caso a morire.

Il Bambin Gesù è un ospedale cattolico, e la Chiesa crede nel non staccare la spina e nel far continuare la vita, fino alla fine.

Lo consideri una forma di eutanasia?

No, perché la bambina non ha avuto modo di scegliere.

Cos’è per te la vita?

E’ complesso da spiegare così su due piedi. E’ qualcosa che ognuno di noi ha e a cui ha diritto. E’ l’amore, sono i nostri obiettivi, le nostre passioni, amicizie … Indy non poteva scegliere nulla riguardo alla sua vita, per questo ha scelto la Corte, e non penso che si sia trattato di una violazione del suo diritto alla vita.

E la morte?

Va presa con tanta leggerezza. Tutti moriremo, prima o poi, e, dato che non possiamo scegliere né dove né quando, dobbiamo essere pronti sempre a questa eventualità. Non possiamo né scegliere né prevenire. Sarà pure difficile, ma, per stare bene con noi stessi, dobbiamo accettare il concetto della morte.

Parlami del concetto di dignità.

Può essere qualcosa di diverso per ognuno. Per me vuol dire vivere in pace con se stessi senza vergognarsi di nulla.

Secondo te c’è dignità nell’eutanasia? E nelle cure palliative?

Nell’eutanasia c’è dignità perché è una scelta personale. Morire non è qualcosa di cui vergognarsi, poiché, come ho già detto, la morte va accettata. Chi ricorre al suicidio assistito comprende che il suo corpo e la sua mente non ce la fanno più, sa di essere pronto.

Anche nelle cure palliative c’è dignità, infatti c’è consapevolezza. Si ha la consapevolezza di essere malati terminali.

Non c’è niente di male nel non voler soffrire.

A tuo parere, le cure palliative sono adeguatamente sviluppate sul territorio nazionale?

No, così come l’eutanasia. Secondo me ciò dipende dal fatto che, essendo l’Italia un Paese molto influenzato dalla Chiesa, non accetta il concetto di morte in sé.

Se ami veramente qualcuno lo lasci andare.

Ritieni che l’eutanasia sia semplicemente una buona morte o, piuttosto, il desiderio della società di disfarsi precocemente di una persone che non è più al top?

E’ una buona morte perché è una scelta del malato. E’ assurdo che chi lo assiste durante l’ultimo suo desiderio non possa più rientrare in Italia e sia considerato un assassino.

Pensi che esista e, se esiste, che sia giusto, un concetto di utilità delle persone?

Non dovrebbe esistere, ma viviamo in una repubblica (anche se tutti sappiamo che non è così), in cui è presente.

Pensi che nella società di oggi ci sia posto per i malati?

Un posto c’è, lo trovano loro. Secondo le leggi della natura, anche se non è molto carino da dire, la vita è una questione di sopravvivenza. Se loro ce l’hanno vuol dire che ce l’hanno fatta, che, per ora, hanno vinto la battaglia. 

Pensi che nella società di oggi venga loro riconosciuta la dignità?

Purtroppo, ora come ora, è difficile. Non c’è un perché. In futuro magari sì, ma non adesso. Vengono accettati ma visti come persone “diverse”, non per forza con disprezzo, ma con pietà sì.

Pensi che coloro che ricorrono al suicidio assistito lo facciano per il troppo dolore o perché si sentono un peso per la società e la famiglia?

Dipende, per alcuni è semplicemente la scelta meno dolorosa, per altri le ragioni possono essere altre. Nelle cure palliative, però, molti soffrono ancora di più perché vedono altri soffrire.

Come potremmo aiutarli?

Eliminando disparità e pregiudizi. Ci sono molte persone che, dopo incidenti o simili, vengono licenziate perché il datore di lavoro pensa che non siano più in grado di svolgere bene il mestiere. Inoltre non è detto che una persona che non può più svolgere un dato lavoro sia inutile, può essere ugualmente impiegata in altre declinazioni del mestiere.

Infine, credi che ognuno possa decidere arbitrariamente quando porre fine alla propria vita?

Sì, anche se in Italia non è possibile e chi aiuta il malato viene considerato complice in omicidio.

Cosa hai da dire ai genitori di Indy Gregory?

Capisco il vostro dolore e il vostro desiderio di avere vostra figlia con voi, ma i medici ne sanno di più, sanno cosa è meglio per i bambini che hanno in cura. Inoltre uno Stato ha diritto di parola sul benessere di un minore, specie in casi come questo, in cui i genitori farebbero qualsiasi cosa per tenere la figlia in vita. Capisco che faccia male, ma lei soffriva, è meglio così.

Cosa pensi del caso di Indy Gregory?

Penso che non sia tanto giusto che si possa passare sopra la decisione del cosiddetto “avente diritto” che, nel caso di un bambino è un genitore, se è un adulto è la persona stessa.

Lo consideri una forma di eutanasia?

Potrebbe essere considerata una forma di eutanasia, per alcuni è una forma di desistenza terapeutica che, comunque, andava concordata con i genitori. 

Cos’è per te la vita?

E’ un dono che si riceve e si restituisce. Come tutti i doni bisogna farlo fruttificare.

E la morte?

E’ un passaggio verso un altro stato che per alcuni è uno stato di bene assoluto, per altri un grande mistero. Credo comunque che il sapere che esiste la morte dia alla vita un fine e un significato.

Parlami del concetto di dignità.

E’ l’essenza della persona, il suo valore specifico. La dignità di una persona non può essere tolta o diminuita da nessuna cosa (malattie, handicap, errori etc) o avvenimento che possa capitare a quella persona.

Secondo te c’è dignità nell’eutanasia? E nelle cure palliative?

Nell’eutanasia no, infatti di solito viene richiesta perché si pensa che un malato o una malata con handicap abbia una dignità diminuita o assente. Nelle cure palliative invece sì, perché cercano di lenire tutte le sofferenze fisiche, psicologiche, spirituali e sociali accompagnando e sostenendo il malato e la sua famiglia nel difficile e doloroso percorso della malattia.  Fanno in modo che la persona possa vivere fino all’ultimo giorno al meglio delle sue possibilità e non anticipano in alcun modo la morte.

A tuo parere, le cure palliative sono adeguatamente sviluppate sul territorio nazionale?

Assolutamente no, mancano le risorse umane per costituire le equipes multidisciplinari (medico, infermiere, psicologo, assistente spirituale, assistente sociale etc …) e mancano anche posti letto dell’hospis.

Ritieni che l’eutanasia sia semplicemente una buona morte o, piuttosto, il desiderio della società di disfarsi precocemente di una persone che non è più al top?

Io non credo che sia una buona morte, ma ritengo che una persona che arriva a considerare come rimedio alla sua sofferenza la morte debba essere aiutata a lenire i suoi dolori e a sentirsi meno sola. E’ anche vero che, visti i costi delle cure per certe categorie di malati, per qualcuno potrebbe diventare vantaggioso suggerire strategie di accorciamento della vita.

Pensi che esista e, se esiste, che sia giusto, un concetto di utilità delle persone?

Secondo me esiste ma non è giusto perché la persona non può mai essere strumento o mezzo di qualcosa o per qualcosa, ma la persona è sempre il fine.

Pensi che nella società di oggi ci sia posto per i malati?

Poco posto perché è una società che rimuove la sofferenza e la morte e pensa che la tecnologia ci salverà e che ha una visione economica ed efficientista della vita.

Pensi che nella società di oggi venga loro riconosciuta la dignità?

La dignità viene riconosciuta fino a un certo punto perché molti pensano che quando una persona non è più in grado di esprimere alcune caratteristiche e potenzialità possa perdere questa dignità.

Pensi che coloro che ricorrono al suicidio assistito lo facciano per il troppo dolore o perché si sentono un peso per la società e la famiglia?

Per entrambe le cose. Compito nostro è cercare di lenire queste sofferenze e, ancora di più, di non farli sentire un peso.

Credo che, oltre al principio giusto dell’autodeterminazione, sia importante anche il criterio della responsabilità verso gli altri, nella società, il fatto che siamo tutti interdipendenti e soprattutto che, anche nella peggiore delle situazioni, possiamo essere ancora soggetti in relazione (di amore) con gli altri.

Cosa hai da dire ai genitori di Indy Gregory?

Mi sarei comportata come loro. Direi che, se fossi in loro, cercherei di elaborare il lutto e sarei sicura che la loro figlia vivrà sempre con loro.

Un tempo, quando la vita degli uomini era ancora guidata dalla dignità, dall’onore e dalla vergogna, una “buona morte”, un’eutanasia (εὐθανασία), era da preferirsi ad una morte lenta che indeboliva e logorava, piano piano, le membra e lo spirito. A una fiammella che combatte la sua ultima e ridicola battaglia contro la bufera e che, alla fine, è irriconoscibile in quella che è considerata bruttezza.

Ma siamo sicuri che sia così?

Che, in base ad un nostro capriccio, possiamo troncare in anticipo il filo che le Parche stanno tessendo?

Siamo certi di poter rifiutare questo enorme dono che ci è stato elargito?

Siamo sicuri di non voler più sentire il calore del Sole sulla pelle, il bacio della mamma,  il dolore che ci ricorda che siamo vivi?

Siamo certi di preferire il nulla al buio?

Il buio è diverso dal vuoto.

Siamo sicuri di preferire il vuoto?

Caterina Cammarata 

L'autrice / autore