“Il calcio è anche per i giovani”

Perché i ragazzi perdono la passione ? Qualcosa non va nel modo in cui vengono trattati i bambini e i ragazzi sui campi e negli spogliatoi. Ne vogliamo parlare?

di Giacomo Grassi

Immaginate di essere cresciuti in una famiglia malata di calcio. Nonno andava matto per le giocate di Omar Sivori, Sandro Mazzola e Gigi Riva. Papà passava pomeriggi interi di domenica a stupirsi di fronte alle gesta di Roberto Baggio, Francesco Totti e Alessandro Del Piero.

Poi ci sei tu, cresciuto con due mostri sacri del panorama calcistico come Lionel Messi e Cristiano Ronaldo che, battendo record su record, sono riusciti a farti innamorare dello sport, che per te è diventata una malattia.

Quindi decidi di inseguire un sogno, ed inizi prima a giocare da solo in cortile, poi coinvolgi gli amici e inizi a fare le prime partitelle. E infine chiedi ai tuoi genitori se possono iscriverti ad una squadra: vedendoti così entusiasta,  ti accontentano e inizi ad andare agli allenamenti.

Già noti che l’ambiente non è così accogliente come pensavi.  Di colpo, il mister ti sgrida per un errore fatto, senza spiegarti un’eventuale soluzione. Poi arriva il giorno della partita.

Entri in campo con la squadra, vi schierate in base alla formazione decisa dall’allenatore, e inizia il momento che sognavi da quando esultavi come il tuo idolo nelle partite tra amici.

Ma anche questo momento non va secondo le aspettative.  Un tuo amico subisce fallo, e senti dagli spalti genitori che urlano frasi del tipo “Spezzagli le gambe!”, “Fagli male!”.

Tu sei impietrito, non sai come reagire. Poi magari sbagli un tiro, i tuoi compagni iniziano ad insultarti e l’allenatore ti urla contro. Cominci piano piano a perdere confidenza, non riesci a divertirti, e questo ambiente malato ti porterà a perdere la voglia di inseguire quel pallone che conteneva i sogni e le speranze di una vita intera.

Naturalmente non è sempre così, non voglio creare un’immagine troppo negativa delle scuole calcio, non sarebbe giusto. Voglio però sottolineare come il sistema calcistico giovanile, soprattutto al livello provinciale, non riesca a valorizzare appieno ragazzi che hanno una passione smisurata per il calcio e che vengono privati ingiustamente di un sogno.

Dopo l’eliminazione dell’Italia dai Mondiali 2014 in Brasile, Fabio Caressa (giornalista e telecronista sportivo a Sky Sport), sottolineò una grave carenza nel sistema sovracitato: “Bisogna iniziare un discorso serio con le scuole. Perché i miei figli devono frequentare scuole che non hanno strutture adeguate per fare sport? L’Inghilterra in questo ha investito miliardi. È importante avere delle idee nuove, che si differenzino da quelle di una politica antica e non efficiente. Secondo voi nelle scuole calcio insegnano come si marca l’uomo? No, vengono privilegiati i ragazzi più grandi fisicamente, a discapito degli altri, perché i primi mi danno più speranze di vincere campionati e di fare carriera come allenatore. Questo sistema non funziona più, e se non cambierà, prepariamoci a passare i prossimi 10 anni come gli ultimi 8”

Verrà poi smentito in parte dalla vittoria degli Europei nel 2021, ma nel 2018 e nel 2022 l’Italia non si è neanche qualificata ai Mondiali.

In un altro intervento a Sky Sport di qualche mese più tardi, ribadirà il suo pensiero, mettendo in luce uno degli aspetti più carenti tra tutti: “Ci deve essere una scuola seria che formi gli istruttori dei ragazzi. Io non voglio un allenatore per i ragazzi, ma un istruttore. Non voglio che al primo allenamento di mio figlio gli si insegni la diagonale, voglio che gli si insegni a stoppare un pallone, a marcare l’uomo, a giocare, a divertirsi. I ragazzi devono essere allenati da istruttori, che sappiano trattare un bambino in un certo modo, anche dal punto di vista psicologico.” Proseguiva parlando anche del problema accennato prima, cioè quello dei genitori, che andrebbe sradicato per permettere un’educazione corretta ai propri figli in ambito sportivo.

Le dichiarazioni di Caressa ci fanno capire che il sistema non è più adatto alla crescita di ragazzi che giocano con la passione di chi ama giocare a calcio. Ormai il termine “Giocare” a mio parere è sempre più sostituibile con “Praticare”, che non contiene nessun tipo di emozione positiva, ma una serietà, talvolta esagerata, che porta inevitabilmente alla dispersione del piccolo calciatore, se non è adeguatamente supportato.

A questo proposito è interessante ricordare quello che Jorge Valdano (ex calciatore argentino, vincitore del mondiale 1986) ha detto in un’intervista parlando della direzione in cui sta andando il calcio: “C’è un’enorme differenza tra Europa e Sudamerica. In Europa, i calciatori già da bambini si formano nelle accademie che sviluppano disciplina tattica, facendo parte di un sistema, ma non esaltano quell’aspetto creativo che oltreoceano dilaga. Il DNA calcistico in Sudamerica non è scolastico. Nelle strade, nei campi di periferia, gli istinti, l’estro, le invenzioni non vengono soppresse, anzi, sono tratti distintivi per emergere.”

C’è bisogno, insomma, di una vera e propria rivoluzione. Dobbiamo incentivare i nostri ragazzi a scendere in cortile, a dare calci al pallone, a farli giocare con gli amici, al campetto, per strada. Dobbiamo insegnargli i valori dello sport, fargli comprendere la libertà che può dare un pallone di cuoio, e non scegliere la strada più facile, lasciandoli incollati ai cellulari, pensando di evitare tutte le preoccupazioni del caso.

Facciamoli tornare a casa con i vestiti sporchi, anche se con qualche sbucciatura. Perché è così che i ragazzi imparano a stare al mondo: cadendo e rialzandosi, combattendo per un obiettivo e facendo di tutto per raggiungerlo, tendendo una mano a chi è in difficoltà, rispettando sempre il prossimo.

È arrivato il momento di lasciare esprimere questi giovani, di formare futuri uomini prima dei futuri calciatori, sperando che il cambiamento avvenga prima possibile. 

E tu cosa ne pensi riguardo al sistema calcistico giovanile in Italia?

Scrivimi la tua all’indirizzo mail giacomograssi06@gmail.com

L'autrice / autore

Totalmente malato di calcio, adoro farmi trasportare dalle emozioni che trasmette questo sport. Con il desiderio di raccontare le sensazioni che provengono dal campo, mi definisco un ragazzo sensibile, che crede nei valori più puri offerti dalla vita. In un turbine di pensieri e progetti per il futuro, cerco di districarmi quanto posso per riuscire a trovare la mia via, inevitabilmente ricca di ostacoli, ma mai troppo alti da non poter superare.